GoTankōbon #98 | Oggi gli studi fatturano milioni, ma noi avevamo Alvaruccio: l’epoca dei riadattamenti anime in Italia
Ciao! Questa è la novantottesima puntata di GoTankōbon. Oggi parleremo di adattamenti italiani, di come abbiamo vissuto diversamente gli anime, del fatto che in parte va bene così e di tanto altro.
Ugo, Gigi e il Fichissimo: guida semiseria agli anime che l’Italia ha frainteso 📺🇮🇹
Di recente, l’algoritmo di Instagram ha deciso che dovevo rivedere per l’ennesima volta un video di Francesco De Carlo. E io non sono riuscito a dirgli di no, mi fa ridere ogni volta. Lui, non so se lo conoscete, ma è uno stand-up comedian romano che lavora anche all’estero, e in quel pezzo — registrato durante quello che credo fosse uno spettacolo negli Stati Uniti — prende in giro la creatività tutta italiana nel tradurre i titoli dei film. Il pubblico ride, io rido, e intanto lui cita The Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Un titolo meraviglioso, profondo, malinconico, difficile da tradurre è vero, ma forse si poteva fare di meglio per cercare di mantenere quel messaggio. Da noi, invece, è diventato Se mi lasci ti cancello. Un titolo che sa più di commedia dei tempi moderni, con i social di mezzo. Capisco che con Jim Carrey nel cast potesse sembrare una pellicola leggera, ma in realtà è un film devastante, poetico e forse ne parlo così anche perché l’ho veramente amato tanto. Eppure, quel cambio di titolo dice molto più di quanto sembri.
Da lì, il passo per pensare agli anime e ai manga è stato brevissimo. Perché se c’è un campo in cui l’Italia ha davvero dato il meglio di sé nell’adattamento culturale, è proprio quello. Mi è bastato tornare con la mente a quando da bambino guardavo Super 3, un canale regionale del Lazio che ogni sera proponeva una sfilza di anime giapponesi degli anni ’70 e ’80. E che io guardavo sempre, specialmente quando passavo l’estate dai miei nonni. Roba che oggi definiremmo vintage, ma che per i tempi era ancora una sorta di novità o, comunque, quello che si poteva guardare gratuitamente attraverso la TV. C’erano le meravigliose sigle, scritte dai Cavalieri del Re, che cantavi a squarciagola anche se non capivi bene cosa stessi guardando. E poi c’erano i titoli che, insomma, erano un universo a parte.
Ugo il re del judo, ad esempio. In originale era Inakappe Taishō, che più o meno si traduce come “il generale campagnolo”. Una storia comica, con un ragazzino goffo ma tenace, che si trasferisce a Tokyo per migliorarsi nel judo. Ma per noi, con quel nome, era già automaticamente il massimo esperto mondiale di arti marziali. O Il fichissimo del baseball, che partiva già con un tono da commedia scolastica, facendo sembrare il protagonista una sorta di super belloccio, amatissimo dalle ragazze. Ma in realtà c’era sotto una cosa molto più profonda: un bellissimo messaggio di tenacia sportiva che caratterizza da sempre tutti gli spokon. Quelli veri, quelli dove si cade cento volte e ci si rialza centouno, dove le partite non sono solo sfide contro l’avversario, ma contro i propri limiti, le paure, e spesso anche contro il proprio passato. E infatti l’anime, in realtà, si chiamava Ippatsu Kanta-kun, cioè una sorta di “un colpo, Kanta!”.
Ma poi ci sono i veri misteri semantici come Gigi la Trottola, che nell’originale giapponese non aveva nulla a che fare con le trottole ma parlava di uno studente prodigio dello sport con una passione un po’ ingombrante per le ragazze (il contrario di quello che era Kanta, secondo l’adattamento). Oppure Fantazoo, che amavo da matti, dove una mucca e una tartaruga filosofeggiano e si ritrovano in sketch surreali. Da noi si chiamano Alvaruccio e Camilla e parlavano rispettivamente con un accento romano e toscano (mamma mia che ricordi). Ma in inglese, la tartaruga era un maschio e si chiamava Jack Turtleson. In Olanda, paese che ha ispirato l’anime grazie a un fumetto, lei era effettivamente femmina e si chiamava Dolly. Ecco, insomma, che la confusione è servita. E questa cosa, ammettiamolo, accade da sempre per un sacco di prodotti. Specialmente se provenienti dall’oriente.
Il punto è che in quegli anni l’associazione era automatica: anime = bambini. Sempre. Se qualcosa era animato, doveva per forza essere destinato a un pubblico infantile. E quindi andava adattato, doppiato, ripulito, ritradotto. Anche quando l’opera originale diceva tutt’altro. Questo ha portato a una lunga stagione in cui tantissimi anime sono stati percepiti come cartoni per bambini, anche se raccontavano di perdite, guerra, solitudine, disillusione, amore, dolore. Certo, alcuni erano pensati per un pubblico giovane. Ma anche lì, dentro le gag slapstick e le battute facili, c’erano riferimenti culturali, spunti esistenziali, e uno sguardo molto più maturo sulla realtà. Non è un caso se per anni l’animazione giapponese ha avuto una reputazione difficile in Italia. E non solo tra i genitori. Anche i media, spesso, ci hanno messo del loro. Come nel 1996, quando un fatto di cronaca sconvolse il Paese: un gruppo di ragazzi lanciò dei sassi da un cavalcavia, provocando la morte di una persona.
Durante le indagini, emerse che alcuni di loro leggevano Ken il Guerriero. E bastò questo per scatenare l’associazione più facile e sbagliata: è colpa del cartone. Ken divenne il capro espiatorio perfetto. Era violento, sì, ma in modo simbolico, catartico, tragico. Una storia ambientata in un mondo devastato, dove la forza non è fine a sé stessa ma veicolo di giustizia, sacrificio, perdita. I media, forse, lo capirono. Ma non lo accettarono. Perché era troppo, troppo diverso da quello che si erano sempre raccontati: che i cartoni erano roba per bambini, punto. E Ken, con la sua follia muscolare, li metteva davanti a una realtà nuova e spiazzante, che l’animazione potesse essere anche per adulti. Quel cortocircuito fu difficile da digerire. E così si scelse la via più comoda: demonizzare. Un po’ come successe con il wrestling dopo la tragedia di Chris Benoit. Anche lì, giudizi affrettati, colpe cercate nei posti sbagliati. Un peccato. Ma i ragazzi dell’epoca, quelli che Ken lo guardavano con gli occhi spalancati e il cuore in gola, non se ne sono mai dimenticati. E anzi, ne sono rimasti innamorati. Nonostante tutto quello che si diceva.
Eppure, in tutta questa confusione, qualcosa di buono è rimasto. Anzi, qualcosa di grandioso: le sigle italiane. Quelle erano e restano una forma d’arte. Certe canzoni sono più potenti dei cartoni stessi. Ancora oggi ci si ritrova a cantarle ai concerti di Cristina D’Avena o Giorgio Vanni, o a ballare in quei festival dedicati esclusivamente alla musica dei cartoni anni ‘90 (fanno un po’ tanto leva sull’effetto nostalgia, come tante altre cose, come questa puntata, ma sembrano divertenti). E poi ci sono gli adattamenti che, anche se assurdi, sono diventati culto. Tipo Hanamichi Sakuragi in Slam Dunk che fa un malocchio in napoletano al suo avversario. Ora però le cose sono cambiate, è vero. Con Netflix, Crunchyroll, Prime Video, Disney+ e tutto il resto, guardiamo gli anime in lingua originale, con sottotitoli, con titoli autentici (a volte lunghi tre righe) e versioni non censurate. E va bene così. Perché oggi conosciamo l’opera per com’è davvero. E possiamo decidere da soli se ridere, piangere, spaventarci o farci domande.
Però un po’ ci mancano i Cavalieri del Re. Un po’ ci manca Alvaruccio che discute con Camilla. Un po’ ci manca quella sensazione di vedere qualcosa che non capivamo del tutto ma ci faceva sognare tantissimo. E forse è questo che rende quegli adattamenti così affascinanti, anche se oggi li vediamo con l’occhio critico di chi è cresciuto. Perché alla fine, anche se i nomi erano sbagliati, le traduzioni erano fantasiose e le trame un po’ accorciate, quelle storie ci hanno lasciato il segno. E non servono i sottotitoli per ricordarle.
Le regole per Boichi a Napoli, Ghibli in vetta e Porco Rosso in sala 🛩️✍️
Notizie della settimana e una di queste ha a che fare con la giornata di oggi: il 25 aprile.
Vi ricordate che il Napoli Comicon è praticamente dietro l’angolo? Bene, ricordatevi del super ospite Boichi. L’autore di Dr. Stone sarà tra gli ospiti più attesi, così come i suoi firmacopie. Proprio per gestire al meglio la folla di fan (cioè noi), Star Comics ha pubblicato un regolamento dettagliato con orari, modalità e info utili. Ve lo lascio qui sotto: leggete tutto con attenzione, perché per stringere la mano al sensei serve organizzazione. E pazienza. La fila non sarà poca.
Se vi siete mai chiesti quanto guadagnano davvero gli studi giapponesi d’animazione, ecco la risposta: Studio Ghibli domina con quasi 5 miliardi di yen (più di 34 milioni di euro), seguito da Bandai Namco Filmworks. Ma sotto la vetta la classifica è tutta un’altra storia. Tra gli altri: Production I.G, Wit Studio, CloverWorks, ma anche nomi più piccoli come Colorido e Kinema Citrus, con profitti molto più contenuti. Insomma, l’anime business è spietato, e non tutti ci stanno dentro. Qui i numeri freschi dalla Gazzetta Ufficiale giapponese.
Oggi è festa, una giornata speciale, e lo sarà anche al cinema grazie a uno dei film d’animazione giapponese più importanti di sempre. Il 25 aprile il capolavoro di Miyazaki, Porco Rosso, torna in sala per una proiezione speciale. Tra le città già confermate: Milano (Anteo), Roma (Quattro Fontane), Napoli (Metropolitan), Bologna (Odeon), Firenze (Astra) e altre. Per l’elenco completo e aggiornato delle sale, vi consiglio di dare un’occhiata direttamente al sito di Lucky Red.
Le migliori uscite manga della settimana (21 apr - 27 apr) 🎚️🪄
Settimana ricca di uscite interessanti in fumetteria e libreria. Questi sono i manga che troverete in questi giorni: Solo Leveling (22), Ken il guerriero (10), Kagurabachi (2), Origin (1), The Adventure of Dai (6), Yamada Kun at LV 999 (1), Rent a girlfriend (26), I diari della speziale (14), Dai Dark (8), L’uomo tigre (5), Detonation (8), Akane-Banashi (11), Ender Gester (9), JumboMax (12), Chaos Game (5), Lycoris Recoil (2), Guru Guru (8), Show-Ha Shoten (9), Ring-Mama (4) e Mobile Suit Gundam Thunderbolt (23).
E per oggi è tutto! Grazie di essere stati qui anche questa settimana. Ve lo anticipo, nella prossima puntata parleremo un po’ della newsletter e di alcuni cambiamenti che poi vedrete quanto toccheremo le tre cifre come numero di episodi. Detto ciò, vi auguro un buon 25 aprile e un buon weekend. A venerdì prossimo, ciao! ✌️